VERSO BOLOGNA: SAMBUCA E LE VALLI DELLE LIMENTRE – LA STORIA

Prima della costruzione del tracciato della attuale strada statale n. 64 inaugurata nel 1847, alla fine del Granducato lorenese, i percorsi che lungo le valli delle Limentre raggiungevano il confine con lo stato pontificio erano numerosi, tanto che la storiografia è solita parlare per la viabilità pre-moderna di fasci di strade più che di singoli itinerari. Soprattutto essi dovevano prevedere, insieme al percorso di fondovalle, un’alternativa in quota da percorrere quando l’altro percorso non era praticabile.

Tra questi si segnala la “strada di Casale”, ovvero il tracciato di crinale dell’antica via medievale della Sambuca, definita nelle mappe catastali anche come “strada vicinale della Faggeta detta Lombarda”; la “via maestra treppianese”, che attraverso la Badia a Taona e Treppio raggiungeva il confine con lo stato pontificio a Carpineta; la “strada maestra che da Pistoia va alla dogana di Lentula” seguendo il corso della Limentra orientale e il percorso della attuale Pistoia-Riola.

Nel corso dei secoli lungo le grandi arterie di collegamento e specie nei tratti più impervi come quelli di montagna, sorsero numerose strutture di ospitalità gratuita per i viandanti e i pellegrini. Certamente il più importante ‘ospitale’ del percorso della via Francigena della Sambuca fu quello dei Santi Bartolomeo e Antonino detto del Pratum Episcopi, la cui origine parrebbe risalire al secolo XI. Il complesso architettonico dell’Ospizio, del quale rimangono splendide carte settecentesche, comprendeva la Chiesa, l’abitazione dei monaci e dei conversi e l’ospedale dei pellegrini che si trovava in un edificio separato, ma collegato alla chiesa da un passaggio coperto sopraelevato. Vi era inoltre una stalla per le cavalcature dei monaci, uno stallone per quelle dei pellegrini più facoltosi ed una “casa ad uso di osteria”.

L’antico confine con lo Stato della Chiesa nel territorio della Sambuca, rappresentato, oltre che dal fiume Reno, dall’attuale confine tra le province di Pistoia e Bologna, è ancora oggi ben presente in una serie di toponimi e di oggetti che rimandano alla secolare presenza di una linea di frontiera fra stati “esteri”. Dal “Fosso dei Confini” al toponimo ‘Dogana’ per una casa di abitazione in località Carpineta, allo stesso toponimo presente anche a Taviano e a Pavana.

Nella prima località era ubicata l’antica dogana settecentesca, di cui ci rimane una bella raffigurazione cartografica dell’architetto Fallani, e situata proprio nei pressi del ponte, dove la strada che veniva da Pistoia, detta anche “via maestra dei muli” si diramava in due direzioni, prendendo a sinistra dopo aver superato la Limentra per il “Bagno della Porretta” o proseguendo a diritto verso il confine, dove in località Moscacchia o Moscaccia, era situata la corrispondente dogana pontificia.

Nella seconda, Pavana, sarà invece costruita, nel 1846, la nuova dogana in servizio della nuova strada, la attuale Porrettana. Sempre connesso con il confine è anche il toponimo Termine riferito ad un bosco misto a sud della Tosa, “segnato da uno degli antichi cippi confinari tra il Granducato di Toscana e lo Stato della Chiesa” (Dizionario toponomastico del Comune di Sambuca Pistoiese, a cura di N. Rauty, Pistoia 1993). Cippi confinari sono ancora oggi visibili lungo il tratto di confine che dai pressi di Pavana arriva all’altezza di Gavigno (tra cui quello riprodotto da B. Homes, Le Limentre, Porretta Terme 2006).

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